ARCHIVIO DELLA CERAMICA ITALIANA DEL '900 |
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Archivio della Ceramica Italiana del '900
presenta:
La collezione Zuccari
Zuppiere dal XVIII° al XX° secolo
Sommario:
Presentazione
di Paolo Zuccari
La Ceramica di Deruta
di Giulio Busti
Castelli e la ceramica
d'uso
di Giovanni Giacomini
Presidente del Museo delle
Ceramiche di Castelli
La maiolica e le
zuppiere
di Giorgio Bernasconi
Collezionista
www.maioliche.it
Le ceramiche di Cerreto
Sannita
di Lorenzo Morone
La collezione
Abruzzo - Campania -
Emilia Romagna - Lombardia
Marche - Puglia - Toscana - Umbria - Italia
Presentazione
Tutti mi
chiedono perché, come e quando ho iniziato a collezionare
zuppiere. La risposta è semplice, dopo aver vissuto per trenta
anni in questa casa, ora Villa Zuccari, dopo aver sposato Daniela
ed avere avuto la prima figlia Federica, ho deciso di andare a
vivere a Spoleto dove è nata Lorenza.
In occasione di tale trasferimento, per la verità un po
sofferto, ho portato con me solo poche cose e pochi ricordi della
mia casa natale, ma fra queste poche cose cerano alcune
zuppiere.
La più importante allora era una zuppiera di Pesaro che nostra
nonna usava per servirci i cappelletti in brodo a Natale.
Da queste prime zuppiere, forse per nostalgia, è iniziato il
desiderio o la mania di comperarne altre e via via ho iniziato a
collezionarle.
Nel corso degli anni il numero delle zuppiere aumentava e
cominciava ad essere difficile sistemarle a casa, ma
fortunatamente del 1995 abbiamo inaugurato lHotel San Luca
a Spoleto e quindi ho potuto sistemare nel nuovo albergo una
parte della mia collezione.
Attualmente sono arrivato ad averne oltre 450 pezzi e continuo
costantemente nella mia ricerca.
La collezione non comprende pezzi singoli di elevato valore
commerciale, ma per me ogni pezzo è un ricordo.
Ho zuppiere solo Italiane che provengono prevalentemente dal
centro e dal sud Italia.
Ho zuppiere di Deruta, di Fabriano e Pesaro nelle Marche, di
Castelli in Abruzzo, di Cerreto Sannita e di Napoli in Campania,
di Grottaglie in Puglia, di Faenza e di tante altre zone.
Il periodo di produzione delle mie zuppiere va dal settecento per
alcune allottocento fino ai primi del novecento per la
maggioranza.
Di alcune zuppiere non sono riuscito a determinarela manifattura
e neanche la zona di provenienza, in quanto i ceramisti si
spostavano in continuazione portandosi dietro modelli, stili e
colori.
Le zuppiere erano un articolo di consumo domestico, spesso
locale, e non venivano firmate o marchiate dal produttore.
Ho cercato di chiedere aiuto ad amici, amanti della maiolica e
della ceramica ed ad esperti del settore e questo è il
risultato!
Una mostra con un allestimento nelle sale di villa Zuccari, da
dove è iniziata questa mia passione, che spero emozioni anche
voi nel visitarla.
Paolo Zuccari
La ceramica di Deruta
Nella
raccolta di zuppiere italiane dellOtto e del Novecento di
Paolo Zuccari, trova posto un nucleo proveniente dalle fabbriche
di Deruta della fine del secolo XIX.
Si tratta di una rara testimonianza, sopravvissuta grazie
allintuito e al gusto del collezionista che, seppure
animato da altri scopi di illustrazione della cultura
gastronomica in un ambiente deputato, rende un ottimo servizio
alla storia della ceramica.
Testimonianza rara e significativa poiché rappresenta un punto
di evoluzione della ceramica derutese della seconda metà
dellOttocento quando la comunità e le fabbriche locali si
impegnarono severamente in tentativi di ripresa artistica e
produttiva dopo la grave crisi della metà del secolo e la spinta
ideale e politica dellItalia post-unitaria (Busti-Cocchi
2010).
Questo impulso prese diverse direzioni: sia quella
artistico-culturale rivolta al recupero del passato (Mancini
1982) che quella più indirizzata alla produzione merceologica
più di attualità dei serviti da tavola.
Questultima, infatti, non poteva trarre ispirazione dal
passato rinascimentale semplicemente perché il servizio da
tavola, come ancora oggi lo intendiamo, fu uninvenzione
più tarda, collegata alla evoluzione della vita quotidiana che
doveva rispondere ad una crescente esigenza igienica, ma anche ad
unidea di eleganza e distinzione sociale che trasformò,
nel corso del Seicento, il pasto quotidiano in una occasione di
incontro, buon gusto e appartenenza ad un rango sociale.
I primi tentativi derutesi di aggiornamento della produzione
risalgono al Settecento, su cui si esercitarono le fabbriche di
Gregorio Caselli e Pasquale Bravetti (Busti-Cocchi 2008) di cui
resta qualche zuppiera nel Museo regionale della ceramica di
Deruta.
Sono di forma ovale sagomata con costolature verticali, prese
laterali con testine antropomorfe, con il coperchio sagomato che
riprende il modello del corpo con pomello a cipolla alla cuspide,
decorate in monocromia blu con motivi a lambrecchini
che sembrano ispirarsi alle contemporanee produzioni di Lodi o di
Moustier.
Mentre è stato evidenziato da Sirci (2010) che le forme della
ripresa produttiva derutese tra Otto e Novecento, anche quando le
decorazioni fossero state riprese da quelle originali del
Rinascimento furono trasfigurate per riprendere, per lo più con
stretta somiglianza, quelle delle produzioni delle fabbriche
nazionali più consistenti e, in particolare quelle del marchese
Ginori.
E perciò significativo che uno dei momenti che segnarono
questa fase storica della ceramica derutese sia rappresentato
dalla Esposizione Industriale del 1872, promossa dalla
amministrazione comunale che ricercò la collaborazione della
fabbrica Ginori. A differenza delle forme sagomate e mosse del
Settecento i nuovi servizi da tavola assumono forme più nette e
lineari, prevalentemente circolari dove le zuppiere, elemento
distintivo e centrale in una tavola imbandita, hanno la forma di
vaso classico su alto piede circolare, coperchio a campana
sormontato da un pomolo a disco, con decorazioni in policromia
con ramoscelli di rose, piccoli fiorellini o stampigliature in
monocromia blu.
Lo si vede bene nella zuppiera realizzata nel 1894 da Angelo
Artegiani (foto di copertina), forse per qualche speciale
ricorrenza.
La decorazione è resa da due uccelli contrapposti posati su un
ramoscello di foglie e bacche che reggono con il becco un
cartiglio con liscrizione BUON APPETITO
sormontato dalla firma A. ARTEGIANI.
Lo stesso motivo è replicato sul coperchio dove il cartiglio
reca laugurio di UN FELICE PRANZO sormontato
dalla denominazione di origine F. DERUTA. A. 1894.
Per un lavoro analogo, lautore aveva ottenuto una menzione
onorevole alla Esposizione del 1872 (Busti-Cocchi, 1992).
Se questa rappresenta il pezzo più pregevole del nucleo
derutese, le altre opere sono altrettanto utili a testimoniare
come le fabbriche del periodo, fenomeno unico in Umbria,
tentassero lavventura industriale che le portò al successo
nel secolo successivo.
Giulio Busti
Castelli e la ceramica d'uso
Castelli
è uno dei trentasei centri di antica tradizione ceramica sparsi
sul territorio italiano, che vive esclusivamente di maiolica da
cinque secoli.
Le sue produzioni, rese famose dalla valentia dei maestri
artigiani, appartenuti alle famiglie dei Pompei, dei Grue, dei
Gentile, dei Cappelletti e dei Fuina, per citare le più note,
sono presenti in tutti i più grandi musei del mondo, ed erano
dirette a una committenza molto qualificata: dalle corti europee
agli alti prelati, dalla nobiltà alle grandi comunità
monastiche.
Accanto alle produzioni auliche, tuttavia, si è sempre
sviluppata una produzione corrente di ceramica duso
quotidiano e popolare, diretta al grande pubblico, che veniva
smerciata sui mercati e nelle fiere.
La maggior parte delle fabbriche castellane erano dedite a questo
tipo di produzione, caratterizzata prevalentemente da una
copertura di solo smalto bianco.
Di essa non rimane adeguata documentazione anche perché di
difficile riconoscimento per la sua semplicità, a differenza
della produzione cosiddetta dipinta, che ha, invece, chiari
elementi identificativi per forma, per decori e per tipicità
della tavolozza, che la distinguono da quelle coeve degli altri
centri di produzione ceramica.
Dalla seconda metà del Settecento, a causa della concorrenza
delle manifatture di porcellana prodotte delle stesse corti
europee, che conquistano i mercati di qualità prima riservati
alla maiolica dipinta, e per lintroduzione di manufatti
seriali sempre a più basso costo, si assiste a una progressiva
decadenza delle produzioni auliche, con lattività
produttiva che si riduce quasi esclusivamente alla ceramica
duso, che diventa lattività produttiva principale
per tutto lOttocento.
Gli studiosi e i collezionisti, da sempre molto attenti alle
produzioni auliche, hanno, invece, trascurato in qualche modo,
quelle duso e popolari, che, allo stato delle cose, sono
anche poco documentate.
La singolare collezione di zuppiere appartenenti alle produzioni
di diversi centri ceramici italiani, realizzata con grande
passione da Paolo Zuccari, include numerose zuppiere provenienti
dalle fabbriche castellane.
Essa costituisce, pertanto, una preziosa documentazione, anche se
settoriale, delle produzioni ottocentesche, le quali, accanto
alla maiolica da tavola coperta di solo smalto bianco,
introducono tipologie produttive, innovative nelle forme e nei
decori, tanto da creare e sviluppare una propria connotazione e
caratteristica.
Giovanni Giacomini
La maiolica e le zuppiere
Le case
di tutti noi sin dai tempi antichi sono state occupate da una
serie di oggetti destinati allespletamento di attività
quotidiane domestiche.
Piatti, boccali, vassoi, tazzine, caffettiere, borracce, saliere,
oliere, zuccheriere, calamai, acquasantiere, portacandele, centro
tavola e così via e perché no zuppiere: oggetti con funzioni
diverse, da usarsi in orari e ambienti diversi, a seguire gli
eventi quotidiani domestici.
Le acquasantiere prevalentemente nelle camere da letto al mattino
e alla sera, i calamai nelle ore del giorno indaffarati in
conteggi o rendiconti, le tazzine e le caffettiere in occasioni
di riunioni di amici e non, e infine tutta la serie di stoviglie
per la cucina e la mensa.
Naturalmente le case dei ricchi o dei nobili differivano da
quelle dei meno ricchi non solo per quantità e varietà di
oggettistica ma anche per la qualità, la preziosità e la
qualità dei decori: sappiamo di collezioni di oggetti duso
creati apposta per famiglie nobili sui quali erano riportati gli
stemmi e spesso i motti delle stesse.
Ciò non toglie che frequenti erano la manifatture che
producevano prodotti cosiddetti popolari a prezzi egualmente
popolari ma che non sfiguravano a confronto con quelli più
costosi.
Quando parliamo di ceramica nel cinquecento e seicento ovviamente
ci riferiamo alla maiolica che con la porcellana e la terraglia
ne fanno parte.
La maiolica è impasto di argilla, più o meno depurata, lavorata
e rivestita di smalto bianco a base di ossido di stagno.
La porcellana è impasto di caolino (argilla bianca) prodotta in
Europa a partire dal 1710 a imitazione di quella cinese nata
probabilmente agli inizi dei primi secoli della nostra era.
La terraglia è impasto di argille chiare rivestito di vernice
piombifera o silicati vari nata in Inghilterra nel XVIII sec.
particolarmente indicata alla produzione su scala industriale per
il vasellame da mensa.
Non vogliamo riportare qui la storia della maiolica così ben
illustrata nella copiosissima bibliografia esistente: ci piace
solo ricordare che larte della produzione ceramica si
colloca tra le più antiche, se non la più antica, nella storia
delluomo.
Ricordiamo che essa si esplica con la terra, lacqua e il
fuoco i tre elementi base del nostro mondo.
Oggi abbiamo davanti a noi una incredibile collezione di questi
oggetti, abbastanza rari da vedere su libri in musei o in
collezioni pubbliche o private.
Tutti sappiamo cosa sono ma io mi permetto di presentare la
definizione che di questo oggetto fa Giorgio Ballantini nel suo
libro LAMICO DELLA CERAMICA (edizione Vallecchi
Firenze 1974) che mi sembra ricca ed esaustiva: Grande
recipiente da minestra in ceramica, in genere di forma panciuta,
basso, con due manici laterali (biansato), munito di coperchio.
In genere il coperchio termina con decorazione a rilievo nella
presa (fiori, frutta, conchiglie, mascheroni, pigne,
teste di caprone o di altri animali, busti, sfingi, putti
eccetera).
Alcune zuppiere hanno piedini di sostegno.
Altre sono costruite a trompe-loeil, in forma, cioè, di
animali da cortile, di uccelli, di pesci, di verdure (se ne
conoscono, per esempi, in forma di oca, di tacchino, di testa di
cinghiale, di zucca, di legume).
Altre ancora hanno forma plastica a rocaille.
Spesso anche i manici raffigurano foglie, frutta, teste di
animali.
Non possiamo qui ricordare nemmeno in maniera succinta al lettore
i pezzi straordinari presenti nei numerosi testi di storia della
maiolica italiana: purtroppo non esiste in proposito un volume
monotematico che ci illustri gli esemplari realizzati nei secoli
in cui la maiolica italiana era un vanto del nostro paese e i
ceramisti italiani insegnavano allEuropa tecnica e decori,
con qualità e fantasia insuperata.
Non conosciamo inoltre documentazione interessante relativa alla
produzione del XX sec. che grazie alla automazione dei processi
industriali è stata vastissima sia in terraglia, anche decorata
a decalcomania, grazie alle ricerche inglesi, sia in porcellana
sempre richiesta dai mercati.
A parte le numerose imprese locali o regionali diffuse dalla fine
Ottocento a quasi tutto il Novecento, non possiamo non ricordare
le due più grandi industrie italiane che hanno dominato il
mercato italiano (non solo di stoviglie) e hanno ben figurato
anche allestero e sono tuttora in vita.
La manifattura di Doccia nasce nel 1737 tra le prime in Europa ad
opera del marchese Carlo Ginori con una produzione di elevata
qualità ed eleganza.
Difficoltà di concorrenza e dissidi interni ai Ginori conduce la
fabbrica nellorbita della Richard di Milano e da allora
1896 ai nostri giorni la fabbrica sarà Società Ceramica Richard
Ginori.
Negli anni 20 la direzione artistica fu affidata a Gio
Ponti che ha lasciato una impronta unica e straordinaria nella
storia della maiolica di tutti i tempi.
Esiste un Museo delle Porcellane di Doccia a Sesto Fiorentino che
raccoglie gli esemplari più rappresentativi della produzione.
Purtroppo le ultime notizie danno la Richard Ginori in
liquidazione.
Laltra grande manifattura nasce a Laveno (VA) nel 1856 ad
opera di tre dipendenti dello stabilimento San Cristoforo di
Milano col nome di Società Ceramica Carnelli, Caspani,
Revelli e C divenuta poi Società Ceramica
Italiana nel 1883, mantiene una posizione di rilievo nella
produzione ceramica e in particolare negli anni 20-30
sotto la direzione artistica di Guido Andlovitz si distingue nei
servizi da tavola.
Nel dopoguerra entra a far parte del gruppo Richard-Ginori e nel
1965 viene fusa nella stessa che nel frattempo aveva acquisito
altre manifatture del Nord Italia.
Anche qui esiste un Museo, il MIDeC (Museo Internazionale Design
Ceramico) a Cerro di Laveno a testimoniare la ricca storia della
manifattura tuttora in vita.
Tralasciamo altre manifatture molto note tra le quali quella dei
Vezzi a Venezia e quella di Capodimonte a Napoli.
La raccolta presentata in questo libro costituisce comunque un
unicum impareggiabile per vastità e varietà e rende onore a
coloro che con passione e competenza lhanno realizzata.
Ai visitatori un augurio: apprezzare gli esemplari esposti,
innamorarsi dei prodotti ceramici, dedicare un po del
proprio tempo alla conoscenza degli stessi e poi chissà divenire
amatori collezionisti.
Giorgio Bernasconi
Le ceramiche di Cerreto Sannita
La
ceramica, dal greco keramikos di argilla è un
impasto di argilla (créta) e di altre sostanze.
E noto che la manipolazione dellargilla è nata con
luomo, in connessione ai suoi bisogni esistenziali.
Ora, poiché nellattività delluomo, artista
nellanimo, è difficile scindere il momento estetico da
quello puramente esistenziale, non è possibile stabilire, in
dimensione strettamente cronologica, quando in Campania, come del
resto altrove, lattività del vasaio sia divenuta momento
darte.
Frutto dellincontro tra la civiltà cristiana e quella
musulmana fu una ceramica che il Donatone ha proposto di chiamare
parteno-araba, nello svolgimento della quale Napoli
avrebbe avuto un ruolo importante con la conseguente diffusione
nel centro-nord della già sperimentata tecnica di invetriatura
stannifera.
A partire dal XVI secolo, la sessuofobica cultura della Spagna
dellinquisizione, sempre più presente nella
spagnoleggiante società partenopea, fece proporre uno stile
compendiario, cioè con sobrie ed essenziali decorazioni tipiche
della ceramica di Faenza.
A partire dal 600, poi, la presenza di una numerosa colonia
fiorentina, propose e diffuse motivi tipici della ceramica di
Montelupo Fiorentino, dalla caratteristica impronta popolaresca.
Nel fervido clima culturale-figurativo della Napoli barocca, si
inserisce Cerreto Sannita, località distrutta da un
violentissimo terremoto nel 1688.
Hor questa terra con le Chiese, Monasteri, e
tutto
in tanto tempo, quanto porria dirsi un Credo, cadde tutta, tutta, tutta, senza
che vi rimanesse pure una casa da desolar i, solo rimasero in
piedi
tre piccole casette dun vasaio (ceramista), cosa
che chi non la vede, stenteria crederla
. Relazione
di mons. De Bellis sul terremoto del 5.6.1688.
La ricostruzione di Cerreto fu voluta da Marzio CARAFA, VII Duca
di Maddaloni e X Conte di Cerreto,il più illuminato della
famiglia Carafa, tanto che lo storico Dalio lo paragonò al sole
che fuga le tenebre, nella certezza che Cerreto risorgerà dalle
sue rovine sub principe tanto e che restituit
juri iustitiaeque locum (riportò sul posto il diritto e la
giustizia).
Larchitetto G.B.MANNI progettò la città, di
fondazione, quindi, prima di Noto e dopo Pienza, in base ad
una pianta regolare, con cardini e decumani che hanno il loro
punto di fuga sempre su di uno scenario naturale o artificiale:
una CITTA PENSATA.
Labbondanza di lavoro richiamò a Cerreto artisti come i
napoletani Scarano, Russo, Marchitto e Giustiniani che portarono
lesperienza di Capodimonte.
Alcuni di questi presero casa nel vicino ìCasale di
S. Lorenzello, per carenza di alloggi nella Cerreto in
ricostruzione.
Lincontro tra scuole diverse diede luogo ad una produzione
ceramica che riproponeva modelli e tipologie partenopee, ma con
un nuovo, dissonante ed esuberante cromatismo, dal gusto
naturalistico, con svelte e nervose immagini animalistiche, dal
sapore NAIF, che fanno ricordare il rapporto uomo-animale delle
antiche civiltà venatorie.
nella vecchia e nuova Cerreto han sempre gli
stoviglieri manipolato vasi ancor grandi, invetriati, e
variamente dipinti
N. Rotondi - Memorie Storiche
Proprio di fronte alla Cattedrale era ubicata la
FAENZERA, il quartiere ove erano le botteghe con le
fornaci, una delle quali, quella di Nicolò Russo, è da poco
venuta alla luce nella proprietà di Gianni Teta in Piazza L.
Sodo.
Poco divi lontano (dalla Cattedrale) è la Faenza
Cioè dove si fanno i vasi bianchi
E dipinti con somma diligenza
Voi vedrete lavor sì fini e franchi
Che se fosser di creta di Savona
Potrian star dogni lavoro ai fianchi
(da una poesia del Governatore Migliorini-1711).
Le fornaci erano rudimentali, a gran fuoco, soggette a frequenti
incendi.
Perciò i ceramisti mettevano sulla porta della bottega una
piastrella raffigurante S. Antonio Abate, loro protettore.
Le acquasantiere cerretesi, famose in tutto il mondo, i piatti da
parata e le riggiole, testimoniano la capacità e la
grande vitalità artistica di questo paese e della vicina San
Lorenzello dove le botteghe sono molte e offrono un vasto
assortimento di pezzi moderni e/o ad imitazione di
quelli antichi.
Anche Vietri fu ovviamente interessata dalla influenza del grande
centro culturale costituito dalla Capitale del Regno, il cui
porto era utilizzato per esportare la ceramica in Calabria e
Sicilia.
Esempio del rapporto tra il mondo Vietrese, quello napoletano e
quello sannita, dove nel primo decennio del 700 operò il
ceramista vietrese Antonio Gaudioso, è il pavimento rinvenuto in
alcune cappelle e nel fonte battesimale della collegiata di
Morano Calabro.
Tra i centri Campani ricchi di produzione ceramica sono infine da
ricordare Calitri e Ariano Irpino ove la lontananza da Napoli e
la vicinanza con Lucera, città musulmana nel XIII secolo, portò
ad una ceramica di schietta e caratteristica impronta popolare.
Lorenzo Morone
La collezione
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